…e vissero tutti felici e contenti

Articolo pubblicato sulla rivista "NEXUS" n. 108 - Inverno 2019

È finito il tempo delle favole della buonanotte? Pare di sì… ma la tecnologia che le ha sostituite, pervasiva di ogni momento della giornata dei nostri bambini, non ci lascia tranquilli sulla loro crescita.

C’era una volta, tanto tempo fa in un paese lontano… Così iniziavano le fiabe di una volta, quelle che, da bambini, la mamma o la nonna ci narravano prima di andare a letto. Sembrava, mia nonna, che leggesse su un libro invisibile per come le raccontava, con tutte le parole appropriate, una dopo l’altra, senza errori o tentennamenti. Era come se le conoscesse a memoria. Come facesse non lo so, ma era così brava e così bene descriveva luoghi, fatti e personaggi, che tutto, ai miei occhi, appariva vicino e reale. Sognavo ad occhi aperti e non mi accorgevo che, piano piano, gli occhi si chiudevano per dare spazio inconsciamente a un sonno profondo e ristoratore.

Ed è così che ci si addormentava, con il sorriso sulle labbra, per svegliarsi al mattino sereni e pronti ad affrontare un nuovo giorno nella spensieratezza tipica di quell’età, alla quale tanti di noi vorrebbero ritornare.

Erano, quelle fiabe, non solo dei racconti fantastici e immaginari che conciliavano il sonno; erano racconti talvolta anche popolari con un alto profilo didattico che, forse inconsapevolmente per i narratori, mamma o nonna che fossero, si proponevano di insegnarci attraverso la lettura e il racconto questa o quella morale.

Favole, fiabe, racconti insomma, quali elementi indispensabili e direi insostituibili per lo sviluppo, la formazione e caratterizzazione del bambino o del ragazzo in quel determinato momento della sua vita. Un vero e proprio periodo pedagogico che gettava le basi di un percorso di vita, sano e rispettoso della natura, dell’ambiente, del prossimo e che faceva dei doveri non già momenti di fatica e costrizione, ma li elevava a traguardi significativi e importanti. Assolvere quei doveri significava essere cresciuti, essere diventati adulti. Il rispetto, l’obbedienza, la sincerità, l’amicizia erano spesso, in quei racconti, il filo conduttore e l’invisibile corollario di ogni insegnamento. Inoltre, quei racconti univano ancor di più, accrescevano e rafforzavano, rendendolo splendente e indissolubile, quel già naturale legame tra genitori e figli, tra nonni e nipotini.

Oggi è tutto così cambiato, così diverso! Soprattutto agli occhi di chi, come me, ha avuto un’infanzia così semplice e che, per questo, non può non cedere alla tentazione di fare paragoni o confronti tra oggi e allora. Ed è così che Biancaneve e i Sette nani, Cenerentola e Cappuccetto Rosso sono andati in pensione, dimenticati, forse anche scherniti dai moderni genitori. Peggio è accaduto a Pollicino, alla Bella Addormentata nel bosco, e alla Principessa sul pisello, di cui non si è più sentito parlare. tutte le altre fiabe, le favole e i racconti con i quali siamo cresciuti sono finiti nell’oblio dell’indifferenza e della disaffezione. Pinocchio, resiste ancora solo grazie a una moltitudine di rappresentazioni televisive e cinematografiche. Di Emilio Salgari, Giulio Verne, Edmondo De Amicis con i loro scritti, pilastri portanti della letteratura per ragazzi, solo per ricordarne alcuni, non se ne conosce nemmeno l’esistenza. Sono stati soppiantati tutti, che piaccia o meno, dai videogiochi, dai tablet, dai telefonini. I videogiochi ci stanno portando via i figli e i nipoti, senza accorgercene o forse, pur rendendocene conto, ci lasciano inermi davanti a questa “Rivoluzione culturale” che rende un po’ più liberi i genitori, già ultraimpegnati, ma sempre più prigionieri i nostri ragazzi.

Potrò sembrare anche catastrofista e retrogrado con questa affermazione così forte ma, sempre più, si consolida la teoria scientifica che l’uso smodato di tali strumenti elettronici crea seri rischi di dipendenza e allontanamento dalla vita reale. Passano i nostri ragazzi ore a combattere guerre, uccidere mostri e inventarsi altre diavolerie digitali che, in alcuni gravi casi, creano degli automi, apatici e incapaci di avere una vita sociale. La prolungata immobilità a cui i giochi sul telefonino li costringono, li rende in alcune circostanze goffi anche nei movimenti. Sembra impossibile ma è quello che accade, con addirittura qualcuno che, malgrado ciò, li considera anche uno strumento di apprendimento didattico ritenendoli del tutto istruttivi, creativi, educativi. La pubblicità ingannevole, poi, alla stregua del peccato originale, spinge anche noi a cogliere quel frutto proibito per regalarlo ai nostri figli o nipotini. D’altra parte, supermercati e centri commerciali hanno nei loro scaffali centinaia di apparecchi elettronici di ogni tipo e per ogni età, a partire dall’infanzia, per meglio trasmettere questo “nuovo modello educativo” che a parer mio, come per le sigarette, dovrebbe riportare scritto sulle confezioni la frase “L’uso incontrollato nuoce gravemente alla salute”.

Purtroppo non possiamo né abolirli né distruggerli, fanno parte del nostro tempo. E non vorrei sembrare il Robinson Crusoe dell’elettronica, ma possiamo solamente sperare che il buon senso e la perseveranza ci aiutino a far comprendere ai nostri piccoli come correttamente considerarli, come non abusarne, cioè a non lasciarsi dominare da questa imperante ludicizzazione elettronica. Occorrerebbe che, con molta pazienza, spiegassimo loro come l’uso smodato, incontrollato, ingiustificato di tali strumenti, erroneamente chiamati “giochi”, danneggi la psiche umana. È certamente una “battaglia dura e difficile” alla quale questa volta sì, non possiamo e non dobbiamo sottrarci. Ed è proprio in queste occasioni e in queste circostanze che, più convinti che mai, dobbiamo ricordare il nostro “C’era una volta…” quale insegnamento dell’essere adulti: come qualcuno ha detto “Conservare lo spirito dell’infanzia dentro di sé vuol dire mantenere per tutta la vita la curiosità di conoscere il piacere di capire, la voglia di comunicare.” Sono sicuro che, così facendo, potremmo un giorno dire: “E vissero tutti felici e contenti.”

Foto: unsplash-logoKelly Sikkema