Chiacchiere, pettegolezzi e maldicenze!
Nel “si dice” è nascosta la particella impersonale “si”; impersonale, per l’appunto. La chiacchiera è proprio questo, il discorso senza un vero autore, che pronunciamo senza sentirci responsabili di quello che diciamo. Senza essere veramente uomini o donne degni di questo nome.
La Regina Margherita un giorno chiese al cuoco di palazzo di preparare alcuni dolci, da consumarsi nel pomeriggio insieme a delle sue amiche che venivano a trovarla per fare quattro chiacchiere.
Il fido cuoco si mise immediatamente all’opera e preparò quel tipico dolce il cui nome è rimasto, appunto, “le chiacchiere”. Ma non sono di questo tipo le chiacchiere di cui vogliamo parlare, anche se, finito da poco il Carnevale, abbiamo avuto la possibilità di gustarle in ogni dove.
Non dovremmo stupirci se, prima o poi, arriverà al dipartimento dello sport del C.O.N.I. la richiesta di una nuova proposta di disciplina sportiva: le chiacchiere. Il nostro paese infatti è, secondo un’indagine demoscopica, quello in Europa (forse anche del mondo) in cui se ne fanno di più, e su ogni questione, su ogni fatto, su ogni accadimento vero o falso, su ogni persona o gruppi di persone.
Potremmo definirlo lo sport nazionale più diffuso, anche se nessuna trasmissione televisiva – telegiornale, 90° Minuto o meglio ancora la Domenica Sportiva – è stata ancora abilitata alla sua ulteriore diffusione. Fare quattro chiacchiere è diventata ormai una moda, uno status symbol, è uno scambio di parole per passare il tempo, anche se poi, sono parole vane e per lo più inconcludenti.
Ci si perde insomma in chiacchiere perché non si ha nulla o meglio da fare, prediligendo perciò il pettegolezzo a qualsiasi altra attività.
Ogni notizia falsa o malevola messa in giro, seppur priva del più elementare fondamento, diventa il più seguito dei passatempi, al pari di una partita a carte, di quelle che si facevano nelle gloriose osterie, oggi quasi scomparse, con l’apertura in ogni angolo della città di bar di ogni tipo.
Ed è in questi luoghi di ritrovo, ma non solo, che nasce il “chiacchierone”, ossia una persona che abbonda di parole per lo più inconcludenti che, per captatio benevolentiae, diffonde notizie di solito poco attendibili, sempre pronte a parlare male di chiunque, alla stregua del più seriale dei calunniatori. Un diffamatore professionista oserei dire, un linguacciuto per adoperare un termine assai provinciale.
Una persona parla tanto, insomma, per ottenere dagli altri quell’attenzione o approvazione che non riesce a dare a sé stesso, comunicando solitamente pensieri ed amozioni che non hanno particolare valore.
Al contrario della persona introversa e riservata, una persona con una loquacità eccessiva e affetto da logorrea, che certamente caratterizza un umore esuberante solo per spesso nascondere la non conoscenza dei fatti o dell’argomento. Tutto si aggrava poi, come spesso gratuitamente accade, quando si arriva alla maldicenza.
Il maldicente trova ristoro, possiamo dire, a parlare male degli altri in loro assenza.
È questo uno stile che fa sempre molto danno a chi lo ha e che, prima o poi, diventerà la prova della rozzezza umana di chi lo attua. Dalle chiacchiere o il pettegolezzo, alla maldicenza ed alla diffamazione il passo è breve e non c’è una così netta linea di demarcazione e distinzione tra i due esercizi orali, entrambi non richiesti ma gratuiti. Ed è così che, davanti ad un logorroico maldicente ed in una conversazione di questo tipo, il miglior rimedio è, credetemi , quello del “silenzio imbarazzante”.
Restando particolarmente silenziosi in una conversazione dove c’è una verbosità eccessiva tipica dell’individuo chiacchierone o logorroico, questo tenderà a parlare molto meno ed arriverà da solo a silenziarsi. Posso capire che, ai più, tale tecnica possa sembrare priva di efficacia, se non addirittura rafforzare le improvvide tesi del linguacciuto oratore, ma per la teoria degli schemi contrapposti, è l’unica efficace arma di difesa che abbiamo.
E che altro potremmo fare per far tacere le malelingue? Il modo migliore è certamente restare sé stessi. Fondamentale sarà che i pettegolezzi non incidano sul proprio modo di essere, sulle proprie azioni, o sulle proprie abitudini. Così come non dovremmo mai aggredire la persona che parla male di noi. Immagino quanto possa essere difficile se non certe volte addirittura impossibile, ma dobbiamo riuscirci. Neanche chiedere spiegazione sul perché lo faccia può servire, proprio perché non otterremmo mai una risposta sincera dall’altra parte.
Ma perché, viene da domandarsi, la gente ama così tanto parlare male degli altri? Cosa ne guadagna? In cosa ne può beneficiare? In meno di nulla è la risposta, e per lo più gli si ritorce contro. È questo un comportamento, infatti, che può essere interpretato come un malessere interiore, di inferiorità e di scarsa stima per sé stessi che sfocia nell’attitudine di parlar male degli altri, proprio e soprattutto se li si considera più capaci o migliori.
Torniamo ad occuparci delle chiacchiere, del pettegolezzo, riflettendo sul fatto che certamente la persona pettegola perde la fiducia degli altri. Difficilmente a questi i suoi stessi amici confideranno segreti o un problema personale, nella convinzione che allo stesso modo ne farà materiale di conversazione alle loro spalle.
Ed è così che “Chi più sa più tace!”.
Si fa più fatica a tacere che a parlare, soprattutto se si ha la convinzione o la consapevolezza di conoscere perfettamente l’argomento. “Chi non sa tacere, non sa godere!” diceva forse Virgilio oltre duemila anni fa, alla stregua del detto dei giorni nostri “Chi non sa parla, chi sa tace”.
E mia madre, che certamente non era né una filosofa né una letterata, mi ripeteva spesso, quando mi distraevo dallo studio per parlare o fare un’altra cosa, in quel momento inutile, “La pecora mentre fa beeh perde il boccone!”. Non capivo, allora, cosa volesse esattamente dirmi e cosa c’entrasse la pecora con il fatto che io mi distraessi dalla studio chiacchierando ma, ahimè , la vita poi, a mie spese, me lo ha fatto capire e ritornare spesso alla memoria.